La scarsa collaborazione tra impresa ed accademia, presente ormai da diverse decadi, è  uno dei fattori che in Italia ha rallentato l’innovazione. Il nodo centrale è stato da un lato una debole domanda industriale e dall’altro un’offerta scientifica, seppur abbondante e altamente qualificata, divaricata rispetto alla domanda. Da qui la scarsa propensione al trasferimento tecnologico e alla valorizzazione economica dei risultati della ricerca nonostante un’abbondante produzione di nuove conoscenze come riportato per il nostro Paese da indicatori bibliometrici internazionali. Ricongiungere domanda industriale e offerta scientifica diventa un obiettivo di grande priorità che può aprire la strada all’innovazione.

L’università può contribuire a superare questo criticismo?

“Assolutamente sì. Ferme restando le finalità istituzionali della didattica e della ricerca, sta avanzando sempre di più il concetto di terza missione che l’Università può e deve svolgere in cui le relazioni con il mondo industriale sono ricomprese” spiega il Prof. Enrico Garaci, Rettore dell’Università Telematica San Raffaele Roma. “Per favorire questo processo è necessario attivare vari strumenti, ma fra questi uno è certamente rappresentato dai brevetti realizzati dai ricercatori dell’Università e degli Enti Pubblici di Ricerca”.

Qual è il sistema dei brevetti?

“A Partire dal 2021 con la riforma del Codice dei brevetti viene stabilito che in certe circostanze la proprietà intellettuale del brevetto appartiene al ricercatore che ha realizzato l’innovazione. Ciò ha rappresentato un notevole passo in avanti come documentato dall’aumento dei depositi brevettuali verificatosi dopo la riforma del codice. Infatti con il regime precedente i brevetti rimanevano nei cassetti dell’amministrazione senza ulteriore sviluppo, salvo qualche lodevole eccezione. Con la riforma del Codice il ruolo del ricercatore – inventore diventa centrale perché lo stesso ricercatore conosce bene il prodotto della sua invenzione e sa come valorizzarlo”.

L’Università che ruolo assume in questo processo?

“Nonostante l’aumento dei depositi, non si è verificato purtroppo un analogo aumento relativo allo sfruttamento produttivo e sociale degli stessi brevetti. È a questo punto che deve realizzarsi la sinergia tra impresa e accademia. Da un lato vi è lo stimolo del ricercatore – inventore che non ha le risorse per sviluppare il brevetto ma ha le competenze, dall’altro lato c’è l’imprenditore che investe e porta il brevetto lungo la strada di uno sfruttamento industriale”.

In cosa consiste la valorizzazione di un brevetto?

“Quando inizia il processo d’interazione il brevetto possiamo chiamarlo nudo e quindi Accademia e impresa devono effettuare tutte le prove di sicurezza, efficacia, sperimentazione e di collaudo che legittima il prodotto per il suo specifico uso. Questo percorso può essere fatto insieme al ricercatore che, in nome o per conto dell’Università con cui si è accordato, cerca di attrarre investimenti e può dare vita a Start – Up innovative” prosegue il Rettore.

Come si può avvicinare l’offerta scientifica alla domanda industriale?

“In primo luogo, quanto più sarà completo il vestito tanto più sarà facilitato l’interesse dell’investitore che conoscendo meglio il prodotto vedrà ridurre il suo rischio. Questo percorso della vestizione è quello più a rischio perché la mancante o la insufficiente conoscenza del prodotto può esporlo a valutazione negativa nel suo sviluppo.  In secondo luogo, sarebbe strategico disporre di un fondo finanziario di rotazione che intervenga in questo segmento del percorso. In caso di non favorevole sviluppo il finanziamento già concesso rimarrebbe a fondo perduto mentre se c’è uno sviluppo favorevole verso lo sfruttamento industriale lo Stato dovrebbe avere la restituzione della somma anche eventualmente con gli interessi o la compartecipazione agli utili da re-investire in ulteriori brevetti”.

Quali vantaggi apporterebbe il Fondo?

“L’istituzione di un fondo finanziario di rotazione risulta interessante non solo per il ritorno economico e sociale che ne può derivare, ma anche per la capacità di stimolare la creazione di nuove Start-Up innovative e per l’incentivazione di sinergie tra Accademia e Impresa. Particolare non trascurabile” – conclude Garaci – “è il fatto che nelle più prestigiose Università americane gli introiti che derivano da brevetti possono arrivare anche al 70% dell’intero bilancio dell’Ateneo”.